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Rosario Salvatore Di Modica
Le sue 160 poesie
Fiorivano le rose ed io morivo.
Stupito, non capivo:
quel fiore che paziente ho coltivato,
nutrendolo di amore e fuoco vivo
cresceva ed io languivo;
e mi scavavo un fosso nel tuo prato.
Qualcuno, forse un uomo, forse un dio,
di certo non fui
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Onnipotente! Sono onnipotente:
mai nulla sfuggirà al mio tentacolo;
non ho confini, limiti e abilmente
carpisco, rubo, espugno il propugnacolo.
O forse sono solo un deficiente,
non percepisco i bordi dell’ostacolo
stagliato all’orizzonte; e
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Con tutto il lor fragore, i megatoni
dell’arma distruttiva nucleare,
di fronte alla tempesta degli ormoni
si ottundono, si appannano; e affrontare
la donna mia mutatasi in bassaride,
(se mai qualcuno me l’avesse detto!)
richiede molto più che
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Sebbene sembri cosa assai banale
e paiano cavati dal cassetto,
fidatevi, lo scrivere un sonetto
richiede un tempo che é sesquipedale.
Mi chiedo perché insisto a farmi male
cercando il verso bello e ahimè perfetto
per quella idea che, semplice
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Lo studio matto e, a tratti, disperato
delle Scritture e dei paralipomeni
rivela nuovi aspetti del creato,
svelandone i mirabili fenomeni.
Se leggo da una parte che fu Adamo
la primigenia opera di Iddio,
e solo dopo suppliche, al richiamo
gli
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| Costrettovi da fatti e circostanze,
obtorto collo, devo recitare;
risate, frizzi, lazzi, cori e danze!
Invece fossi solo, in riva al mare,
attento solamente al suo brusio,
null’altro in mente che le forme care
donate al tuo bel corpo dal
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| Io, che di donne me ne faccio un baffo!
Asperrimo corsaro e bucaniere
ne ho avute, cittadine, anche boere,
amanti sia di Marte che di Saffo;
un bacio, una carezza, poi le arraffo
e cosa importa, belle oppur megere
finiscono stipate nel
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| Se amare è possederti, io non ti amo.
Se lacrime sgorgassero, che sia,
ma lacrime di gioia, ché sei mia;
pure non fosse vero, noi fingiamo.
Non so cos’è l’amore, ma ti bramo
perché tu rendi vera la bugia,
sciolti nella più splendida alchimia
di
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| Accoglimi, Morfeo, fra le tue braccia!
Un cerchio stringe forte la mia testa,
la bocca arsa, bacio la borraccia
che mi accompagna nella notte mesta.
E’ pallida, imperlata la mia faccia,
rispecchia bene l’anima, che è pesta;
e "mai l’avessi fatto"
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| Deh, fossi falegname! Da quel legno
eretto innanzi a me quale colonna,
saprei cavar qualcosa, esserne degno;
invece in solitudine, la donna
che adoro sommamente mi figuro:
stupenda, dalle forme a me sì care;
ti penso e nella mente vieppiù duro
un
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| In quell’inverno del sessantanove,
in mezzo a tuoni, fulmini e saette
tirava i primi fiati la bebè.
E la Natura stessa ne tremava
trovandosi di fatto resa schiava
da quel momento e comprendendo che
nascoste dietro forme sì perfette
celavansi
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| O Musa, un tempo prodiga di doni,
di versi dispensati a piene mani,
perché mi ignori, quasi mi abbandoni
ad un presente orbo del domani?
Ricordi quando sussurravi piano
al mio orecchio sordo e indifferente,
rammenti il tuo guidare la mia
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| Mi guardo e mi rimiro nello specchio:
perfetto, pure nella imperfezione!
I pregi pochi, ma di pecche un secchio;
via via le segno sul mio zibaldone.
Codardo, falso ed avido, cialtrone,
oh che persona infida! Sprovveduto,
con quelle uscite
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| Bisbiglia lieve, appena un fil di voce,
un languido "buongiorno", la mia bella,
capace di cangiar tempesta e croce
al semplice ammiccare, in pioggerella;
né celo o taccio quanto ami osservarla,
eteree carni ed il capello bruno,
velata da lenzuola
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| Se tutto passa e nulla resta immoto,
se tempo e spazio sono in movimento
e il sole brilla chiaro in lontananza,
perché più fosco ed atro del creosoto,
votato al mio più orrido tormento
a sigillar col piombo ogni speranza,
riprendo fra le
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